giovedì 20 marzo 2014

I see everything.


Capital City - 2512
Ogni essere umano ha la falsa credenza di essere l'unico essere vivente al mondo, il protagonista della storia. Crediamo di essere unici, speciali e viviamo con la convinzione che non ci accadrà mai niente di brutto. Viviamo di sogni, progetti e speranza, creandoci un mondo fittizio in cui voler vivere.
Non è così.
Quando scoprii per la prima volta tutto questo, ero terrorizzato ed arrabbiato. Non capivo, non ci riuscivo, non immaginavo potesse mai succedere una cosa del genere, non immaginavo che la mia vita potesse cambiare in questo modo. Ma poi, ogni giorno che passava, in me cresceva lo strano desiderio di mantenere quello stato di disperazione, insicurezza e paura.
Viviamo, ma non sappiamo realmente cosa ci rende vivi. 
Sono le emozioni forti quelle che bramiamo. 
L'amore, l'odio, l'ira, la paura e la disperazione. 
Sono queste emozioni che ci fanno sentire vivi.
Tutto il resto è un semplice contorno: l'alzarsi la mattina, lavorare, instaurare rapporti sociali, leggere, scrivere, mangiare o guardare un bel film. 
Cerchiamo le emozioni forti per poterci sentire vivi.
Credo sia tutta colpa dell'adrenalina.

- Ora è il paziente, o il dottore che sta parlando?

Credevo che gli psicologi facessero domande poste per portare il paziente all'autodiagnosi.

- Ogni dottore è differente ed utilizza sistemi differenti per la cura dei propri pazienti.

Non rispettate le regole che si trovano nei manuali, Dottoressa.

- Stiamo parlando di te, George. Allora, l'adrenalina, giusto?

Ha mai affrontato un incidente d'auto? No? Io si. Ero giovane, ed inesperto. Dopo lo scontro ero bloccato con le gambe sotto al volante, ma riuscii a liberarmi per poi uscire dall'auto fumante. Mi sdraiai a terra, e benchè il caos infuriava attorno a me, non potevo fare a meno di guardare il cielo. 
Era così azzurro.

- Questa è una risposta normale dell'organismo, l'adrenalina accentua tutti i sensi.

Lo so bene, Dottoressa. Era l'adrenalina, ed era bellissimo, mi sentivo vivo. 
Non capisco perchè la gente continui a chiamare la depressione con il soprannome di "Mal di vivere." 
Credo sia una sciocchezza. 
Noi vogliamo vivere.

- Voi?

Noi.

- Quindi non vuoi farti... del male?

Suicidarmi? No. Non voglio farlo, mi fa paura. Anche solo pensarlo.

- E la paura è un sentimento forte.

Esatto.

- E ci pensi ancora perchè, l'avere paura ti fa sentire vivo?

Immagino di si. 
Voglio solo... essere felice. Ignorare tutto questo, ritornare come prima e.... essere felice.

venerdì 14 marzo 2014

I see only a miserable man.

Capital City - 2512
La prima notte passata dopo un crollo è la più difficile.
L'adrenalina scorre nelle vene, sovraddosata per il terrore.
L'adrenalina è una risposta automatica e del tutto normale per il corpo umano.
Il cervello cerca di aiutarti in tutti i modi. 
Hai paura? 
Ecco una buona dose di adrenalina, poi sta a te. 
Sai cosa farne, giusto?
Scappa o combatti.

Io non so fare nessuna delle due cose. Resto fermo, completamente inerme, la paura mi paralizza. I brutti pensieri mi assalgono e mi tolgono ogni sorta di felicità, di luce. E questo è estenuante.
Perdi il contatto con la realtà.
Ogni risposta che riesci a pensare è: "Non lo so."
Diventi uno spettatore della vita, ti estranei da te stesso e ti lasci trasportare da un posto all'altro dalla corrente fino a quanto un attacco di panico non ti costringe a chiuderti in casa, senza fiato e sudaticcio, con il battito del cuore che pulsa nelle orecchie. La vista annebbiata, la sensazione di panico.
Questa sensazione... non sembra passare mai. Non sai quanto tempo passa, non sai quando finirà, non sai se starai meglio, non sai se ritornerai mai quello di prima. 
Non sai niente.
Non ti riconosci. Ti guardi allo specchio e non riconosci chi ricambia il tuo sguardo. Non ti capaciti del motivo e continui a chiederti come tu potessi essere così tanto diverso da quello che sei ora. Infondo, incosciamente, sai di non poter più cambiare per ritornare ad essere quella persona che ora non riconosci più. Puoi solo detestarlo e non puoi fare a meno di crederlo solo uno sciocco che viveva tutta la sua corta e miserabile eistenza con dei paraocchi.
Mentre tu hai guardato negli occhi la vita, hai spalancato la porta, e ti sei ritrovato davanti ciò che è realmente vivere.
E non ha niente a che vedere con l'immagine che i docenti, i parenti ed i genitori ti hanno messo davanti agli occhi.
Non è facile vivere.
Non è un gioco.
Non hai ottenuto niente, e quello che ti ritrovi davanti è solo merda.

Resto immobile, rannicchiato in un angolino della stanza che mi hanno dato. Osservo l'oscurità come un bambino, sapendo che nell'angolo di fronte sostano in attesa i demoni. Lo fisso con insistenza senza neanche voler sbattere le palpebre, perchè so che se non li vedrò, arriveranno a prendermi una volta per tutte.
Non posso stendermi a dormire, come potrei?
La mia mente non la smette di lavorare di cercare una risposta logica a tutti questi dubbi alle domande che mi pongo.
Come può una persona che ha passato l'inferno ritornare al mondo reale come se niente fosse?

martedì 11 marzo 2014

I see a horrible life. My life.


Capital City - 2512
Quando riprendi conoscenza, dopo aver sostenuto un'operazione chirurgica, devi fare i conti con l'anestesia.
Io non ho subito nessuna operazione, ma dovetti comunque farci i conti.
Se tali sostanze non fossero ideate per mantenere calmi i pazienti, al loro risveglio, impazzirebbero. 
Perchè non riprendi subito conoscenza. 
Non ci si risveglia come da un sonno profondo. 
Si ha un'acquisizione progressiva dei sensi.
Sembra di essere morti, ma coscenti, in balia degli altri, incapaci di reagire.
Quasi un esperienza di morte.

Il primo è l'udito. Si può solo sentire senza riuscire a muoversi, le palpebre sono incollate fra loro e per quanta forza si possa usare nel cercare di aprirle, risulta impossibile farlo. Come per le labbra.

È terrificante.

Come prima cosa sentii il brusio delle voci, ovattate ed in lontananza.
Lo scatto di una serratura.
Il suono dei passi, scanditi dal ticchettio prodotto dai tacchi.
Il rumore prodotto dal tessuto in movimento.
Una sedia spostata.

Seguì l'olfatto. Un profumo. Di certo femminile, delicato e credo esotico. Uno di quei profumi scelti dalle donne di un certo rango sociale, che hanno appreso fin da piccole a non esagerare nel metterlo, puntando sulla qualità piuttosto che sulla quantità.

Successivamente il tatto. La maglia, o qualsiasi cosa avessi addosso venne alzata e sentii distintamente lo stetoscopio gelido contro la pelle, mentre la dottoressa auscultava il suono dei miei polmoni. Lo spostava, dopo un paio di respiri, controllava sia le parti superiori che quelle inferiori dei polmoni. Si soffermò per più tempo all'altezza del cuore, ed inconsciamento appresi come stesse controllado il battito cardiaco nel tentativo di constatare se fossi coscente o meno grazie al ritmo.

- Buongiorno, Mr Russell. Sono la Dottoressa Blackwood. So che è cosciente anche se non è in grado di rispondermi, ma non ha nulla da temere, presto smaltirà completmanete l'anestesia.

Aveva una voce tranquilla, quasi un balsamo, in grado di calmare ogni spirito agitato. Il tono era pacato, giusto, conforme al compito che stava svolgendo in quel momento: accompagnare un paziente verso il risveglio.

- Ha avuto un esaurimento nervoso Mr Russell, e sono qui per esaminarla riguardo la sua salute.

Disse ricoprendomi. Qualcosa mi fece sorridere interiormente, nel constatare come la gentilezza della dotteressa fosse tale da non specificare quale tipo di salute. Ma evidentemente non era solo un sorriso interiore quello che sentivo.

- Sta sorridendo, bene. Sta smaltendo le droghe assunte. Immagino non ricordi quello che è accaduto durante gli esami medici di routine al rientro dal fronte. Lei ha urlato, insultato, distrutto alcuni beni ed aggredito del personale della struttura. Ha creato qualche problema ma nessuno è rimasto ferito... gravemente.

Ero confuso e non capi subito quello che stava riferendomi. Riuscii solo dopo parecchi tentativi ad aprire gli occhi, ma di poco, riuscendo a vedere solo uno scorcio di realtà. Incontrai gli occhi chiari ed imperscrutabili della donna, mi concentrai su questi mentre dalla profondità della mia memoria riaffioravano i ricordi. Mi aggrappai ad essi. Neanche fosse l'angelo in grado di impedirmi di affondare nell'inferno. 

Devo aver cambiato espressione o fatto qualcosa perchè il suo sguardo, dapprima fermo e professionale ebbe un fremito. Vidi avvicinare quegli occhi premurosi, e sentii il tessuto morbido di un fazzoletto tamponarmi gli occhi. 
Degluittii a fatica e mi accorsi di avere la gola stretta dal groppo, il respiro smorzato e le lacrime agli occhi.
Riuscii a voltare il capo dalla parte opposta e strinsi gli occhi con forza come un bambino mentre con il risveglio ed il recupero dei sensi, anche il tormento interiore riprendeva piede.

- Risolveremo tutto Mr Russell. 

La stretta gentile della sua mano sulla spalla.

- Risolveremo tutto George, te lo prometto.

Volevo crederci. 
Lo volevo davvero, come volevo ritornare ai giorni in cui non ero coscente di come fosse realmente vivere. Volevo ritornare ai giorni in cui non sentivo costantemente un peso nel petto, in cuoi riuscivo a respirare liberamente. Volevo ritornare ignorante, stupido. Volevo vivere come uno di quegli ignoranti agricoltori del rim, troppo impegnati per pensare alla depressione.
Volevo morire, ma volevo allo stesso tempo vivere.
Velevo l'ignoranza per poter essere felice.
Non sapevo ancora che quello sarebbe stato il primo giorno di un lungo viaggio.