sabato 26 aprile 2014

I see the reality of life.

 

Capital City - 2512

Ogni persona è terrorizzata dall'essere considerata anormale, diversa, strana, pazza.
Ma tutti noi viviamo in fin dei conti le stesse fasi, assaporiamo gli stessi piaceri, proviamo le stesse paure, gli stessi dolori ed abbiamo gli stessi pensieri.
Pensieri terreficanti, pensieri destabilizzanti. Pensieri che sono in grado di minare le nostre credenze, pensieri che annullano la nostra volontà o le nostre certezze, accentuandone i dubbi.
Pensiamo alla nostra morte, pensiamo alla morte dei nostri cari, pensiamo possa succedere a noi o a loro qualcosa di brutto, di devastante. Abbiamo fantasie sessuali strane, che temiamo di divulgare per paura di venir allontanati, derisi discriminati. Abbiamo istinti difficili da spiegare.
Mettiamo dei paletti, che non si limitano ad essere delle linee guida utili per il quieto vivere. Mettiamo dei paletti, dei recinti sociali. Delle regole che ci imponiamo di seguire e li tramandiamo ai più piccoli, o agli estranei ed ogni pensiero che appare in mente viene allontanato, scostato come in una folla, ed accantonato perchè, considerato non giusto, anormale. Perchè lo temiamo.
Socialmente siamo talmente repressi, talmente costretti dal non riuscire a mostrarci per quello che siamo, ci riuniamo in sottogruppi, in caste in cerchie di persone con il solo intento di trovare protezione nell'uguaglianza ed additare il diverso su cui possiamo sfogare tutta la nostra ira repressa. Un capro espiatorio.
Eppure siamo umani. 
Eppure da soli non riusciamo a vivere.

Ci alziamo al mattino come scheletri, indossiamo il nostro corpo come un vestito, ci prepariamo davanti allo specchio sorridendo ed usciamo di casa pronti a recitare. 

Non sto parlando dell'ipocrisia che dilaga nelle città, attenzione, non parlo del semplice piantarsi un sorriso in volto e fingere che tutto vada bene. Sto parlando di come la vita che viviamo non sia la realtà, non sia quello che dovrebbe essere. Di come a guardando la realtà dall'esterno, tutto ciò che ci circonda sia stato creato per rinchiuderci, imbrigliarsi e costringerci a vivere una vita imposta da altri.
Noi siamo umani e non possiamo essere quel che vogliamo essere, e quelli che si oppongono a questo pensiero vengono considerati pazzi, folli, bisognosi di terapie.

Io sono un dottore, ho visto le atrocità della guerra, i miei occhi si sono aperti, ho visto la realtà per quello che è, e non si tratta di un holofilm con la propria soave colonna sonora, non si vive di sorrisi e buone intenzioni, speranze ed obiettivi. 
Non si tratta di un romanzo che ha un inizio, un'evoluzione ed una fine.
Il cielo non è azzurro, l'aria non è fresca.
Il cielo è grigio e l'aria è tagliente.
La vita, la realtà è sempre la stessa.
Nasciamo dal desiderio di qualcuno, viviamo costretti in forme imposte, troviamo qualcuno con cui passare la nostra vita per non sentirci soli, una vita falsa, impossibilitati a presentarci per quello che siamo, per poi inesorabilmente morire nella solitudine del nostro letto, o sul campo di battaglia.

Mi considerano pazzo, perchè non vivo come desiderano.
Mi considerano pazzo perchè non penso come pensano gli altri, perchè non penso vorrebbero, come si dovrebbe.

Dicono che sono depresso perchè penso solo a cose violente, orribili e disturbanti, perchè secondo loro non sono in grado di pensare alle cose belle della vita.
Se sapessero... 
Io bramo le cose belle della vita, bramo il poter essere me stesso fra gli altri.
Desidero così ardentemente poter alzarmi la mattina col sorriso sulle labbra, esercitare la professione che amo, circondarmi di persone amate. Bramo il poter trovare la donna o l'uomo con cui poter passare la mia vita, con cui svegliarmi ogni mattina e coricarmi ogni sera. Il godermi ogni attimo di beatitudine, anche semplice come il sdraiarsi su un prato appena tagliato o immergersi nell'acqua fresca di un fiume.

Ma ho visto l'orrore della vita, ho aperto gli occhi e la mia mente non può più ignorare la realtà dei fatti.

Eppure pagherei per avere la vostra ignoranza, la vostra miopia, pagherei per ritornare ad essere quello stupido ed illuso ragazzo incapace di vedere le costrizioni e la morte dietro ogni angolo.

Siamo umani.

lunedì 21 aprile 2014

I don't know what I should do.

Capital City - 2512

Passai un paio di giorni nell'infermeria della clinica, per esami ed accertamenti dopo il pestaggio subito. A quanto pare le ferite superficiali non erano gli unici danni subiti. Riscontrarono un lieve trauma cranico e non volevano sottovalutarlo. Gli antidolorifici aiutavano parecchio e per la maggiorparte della degenza vissi quell'esperienza come una benedizione. La mente era offuscata, dormivo per la maggiorparte del tempo ed il contatto con le persone era ben limitato al personale medico.
Quando uscii da quella stanza... fu come strappare un cerotto su una ferita ancora in via di guarigione, sensibile ed ancora dolorante.
La dottoressa Blackwood non attese molto prima di riprendere le nostre sessioni. Mi attese all'interno della stanza seduta sulla poltrona in un bell'abito azzurro e camice bianco. I soliti convenivoli e di nuovo prese a porre domande.

- Qual'è il ricordo più importante che hai della guerra?

- Della guerra?

- Esatto.

- La campagna di sensibilizzazione Unionista per la chiamata alle armi.

- La campagna? Parli dello slogan?

- Si...

- La maggior parte dei soldati rientrati riporta ricordi devastanti riguardo i compattimenti, la morte di qualche compagno, la caduta delle bombe, i fischi dei proiettili e le urla.

- Questo dovremme farmi sentire diverso?

- Lo siamo tutti a nostro modo.

- Ma ha appena detto che gli altri soldati riportano ricordi differenti riguardo le atrocità della guerra, sta intendendo che non sono un soldato? Che sono differente da loro?

- Stai rigirando la terapia. Sono io il medico in stan...

- Anche io sono un Medico!

Aveva uno sguardo determinato, e solido tanto quanto la sua postura. Quelle iridi chiare si erano fissate su di me, penetrando il mio sguardo che non voleva calare, perchè pareva un affronto o un confronto, e mi ritrovai a non poter mollare. Ma non era lo sguardo il problema quanto il silenzio. Il lungo silenzio che riempì la stanza come se la dottoressa avesse preferito testarmi silenziosamente per lasciarmi la libertà di sfogare la frustrazione ed il nervoso che mi dominava o forse semplicemente lasciare spazio alle mie emozioni per comprendere al meglio il caso.

- Non dice niente?

- Cosa preferiresti che ti dicessi, George?

- Qualunque cosa. Dica qualcosa, non stia li semplicemente in silenzio a far passare il tempo.

- Non hai combattuto.

- What?

- Non ti sei difeso, con O'Malley.

- I'm a Doctor!

- Lo so bene. Eppure non hai combattuto, ti sei lasciato sopraffarre senza il minimo di esitazione, ti sei lasciato colpire senza alzare un dito, perchè?

- Perchè sono un Medico!

- Continui a ripeterlo ma...

- Ho prestato un giuramento Dottoressa Blackwood. Un giuramento che ho intenzione di mantenere.

- Questo lo capisco, ma anche i medici se minacciati reagiscono per sopravvivere. Ma tu no, non ti sei difeso.

- Nel giuramento è scritto che non possiamo fare del male a nessuno.

- Quindi ti sei lasciato colpire solo per mantenere fede ad un giuramento.

- Esatto.

- Io credo che tu l'abbia fatto per aiutare O'Malley ad affrontare il suo problema. Tutti in passato lo hanno affrontato, tutti hanno tentato di salvarsi combattendo con lui, ma tu no. Tu sei rimasto immobile senza alzare un dito perchè sapevi che aveva bisogno di ritrovarsi ad affrontare se stesso.

Ci fu un altro lungo silenzio in cui la dottoressa non distolse lo sguardo neanche per un secondo, un lungo momento in cui aspettava una qualche mia reazione, sperava forse in una risposta o forse era lo stesso mio silenzio ad essere la risposta di cui necessitava. Lei si appuntò qualcosa sul pad quando distolsi lo sguardo sulla finestra.

- In quello scontro O'Malley non stava affrontando George Russell che si rifiutava di combattere, in quello scontro O'Malley stava affrontando se stesso che era incapace di reagire alla sua disfatta, perchè fino ad allora avava sempre affrontato un O'Malley rancoroso e desideroso di combattere. 

- Se lo dice lei...

- Stavi cercando di salvarlo?

- Non dovevamo parlare dello slogan?

- Come preferisci. Perchè lo slogan è il ricordo più importante che possiede della guerra?

- Perchè... Faceva delle promesse. Parlava di patriottismo, di proteggere la propria terra, la propria famiglia. "Uniti sotto la stessa bandiera non siamo una comunità, siamo una famiglia e non ci si può permettere di lasciar morire un familiare senza provare a difenderlo." Ero un idiota... non sapevo cosa realmente volesse dire. Pensavo di poter fare del bene, di poter fare la differenza, di cambiare le cose, la situazione, la vita di qualcuno. Credevo che scendere sul campo di battaglia mi avrebbe permesso di essere un...

- Un eroe?

- Qualcosa del genere.

- Eppure lo è stato. Ha ricevuto un encomio per il suo operato. Ha salvato molte vite a quanto mi risulta.

- Come ogni altro medico presente dottoressa.

- Quindi sperava di diventare superiore ai normali medici che l'affiancavano?

- Io...

- Eccome come stanno le cose, George. Anticià unendo le mani e sporgendosi in avanti per accorciare le distanze. Sei un ragazzo giovane che ha sempre desiderato di mettersi alla prova, di dimostrare alla propria famiglia ed ai bulli che l'hanno schernita in passato di essere superiore a loro di essere inarrivabile per la comune gente, ed ha compreso che chi meglio di un un medico può essere considerato al pari di un eroe?

- Lei...

- Ma noi medici non siamo degli eroi. Non siamo dei santi ne tantomeno delle divinità. Siamo esseri umani come tutti gli altri. Se ci tagliamo, sanguiniamo. Se ci sparano al cuore, moriamo. Se affrontiamo delle situazioni terribili ne rimaniamo shockati. Non siamo eroi, non siamo esseri invicibili, siamo persone comuni che hanno dedicato la loro vita alla scienza, alla conoscenza ed al curare le altre persone comuni. E questo, questo è un fatto con cui hai dovuto fare i conti in prima persona.

- ...

- Devi comprenderlo George. Tu non sei un eroe, le vite di tutte le persone che ti stanno attorno non dipendono da te e non puoi salvare qualcuno se prima non pensi a salvare te stesso. Per salvare qualcuno, devi restare in vita.


venerdì 18 aprile 2014

I see a reason to live, because I took an oath.

Capital City - 2512

Quando ci ritroviamo in situazioni di rischio agiamo d'istinto, cedendo il possesso del nostro corpo ad una parte di noi sconosciuta. Lo cediamo ad una parte animale che prende decisioni al nostro posto, che sa se e quando combattere o scappare. Solo quando la situazione di pericolo termina, ritorniamo a noi stessi in stato confusionale. Può accadere durante un'aggressione, o trovando la persona amata a letto con qualcun'altro e scattare verso di loro aggredendoli, o peggio... Ritorniamo in noi quando quella parte animale che ha preso il sopravvento sa di aver terminato il proprio lavoro, ci ritroviamo incapaci di comprendere cosa sia accaduto realmente ed il perchè delle nostre azioni. Riusciamo solo ad accampare delle scuse, non sapendo il perchè della propria reazione. L'unica cosa che sappiamo fare è accampare scuse e dire: "è accaduto tutto troppo velocemente."

Quello che accadde in clinica non avvenne rapidamente. Ricordo ogni singolo secondo, ogni parola, ogni battuta sarcastica, ogni spinta ed ogni pugno.
Christopher O'Malley, ex Leutenant della Omega Force Unionista. Centoquindici chilogrammi per un metro e novantanove centimetri. Carnagione chiara, occhi azzurri, pizzetto e capelli arancioni. Ha ricevuto encomi e medaglie per aver portato a termine numerose missioni durante la guerra. Si diceva fosse il migliore e si vociferava che non esistesse nemico che lui non fosse in grado battere. Ma una volta ritornato a casa dovette fare i conti con un nemico diverso e si rese ben presto conto essere il più difficile da sconfiggere. Se stesso. 
Durante un litigio quasi strangolò sua moglie in una attacco d'ira causato da quello che in gergo medico viene chiamato PTS: Post-Traumatic Stress. Venne arrestato ma non venne accusato riuscendo ad evitare la prigionia grazie alla sua precedente condotta esemplare. 
Venne spedito qui in clinica, ma un militare non sa comportarsi con diplomazia, quantomeno non gli assaltatori come O'Malley. Il profondo senso di supremazia dominava l'ex tenente, il quale nei giorni buoni cercava di instaurare legami con comportamenti tipici del cameratismo, mentre nei giorni meno buoni cercava un obiettivo da deridere e schernire fino a provocare in questi una reazione fisica che avrebbe portato ad uno scontro in piena regola.
Capisco il perchè di tale atteggiamento a livello clinico. Non lo accetto a livello umano.
Arrivò il mio momento. 
O'Malley iniziò lentamente, con qualche battuta sul tipo di diagnosi assegnatami. Proseguì attaccando il mio passato, puntando sul fatto che non tutti fossero adatti per vivere sul campo di battaglia. Passò molto rapidamente allo schernirmi puntando sull'aspetto sessuale per poi aggiungere insulti sull'aspetto fisico. Benchè capissi la motivazione alla base delle sue azioni, decidi di non reagire. Inoltre vuoi per i farmaci, vuoi per le notti insonni, vuoi per i troppi pensieri che mi affollano costantemente la mente, che mi tormentano e che consumano la maggiorparte delle ore della mia giornata, non avevo ne la forza ne il desiderio di affrontarlo.

Ma arrivò comunque al contatto fisico. Per avere una reazione da parte mia, mi colpì un orecchio. Scattò qualcosa. Qualcosa di differente dall'istinto animale che porta l'animale a combattere o fuggire. 
Mi alzai.
Lo fronteggiai.
Ma restai immobile.
Questo diede il via al pestaggio, anche solo l'essermi alzato venne preso come affronto e di conseguenza un giusto pretesto.
Venni picchiato più volte alla testa, zigomi, labbra, fronte. O'Malley aveva una particolare predilizione per il mio viso, passò successivamente all'addome costringendomi a terra per poi ritrovarmelo addosso ed attaccare nuovamente. E ad ogni pugno che tirava, ogni ringhio o sputo lanciato, continuava a chiedermi di affrontarlo, di reagire aumentando la rabbia che lo dominava.

Per tutto il tempo del pestaggio non mi resi effettivamente conto di quello che stava accadendo nella stanza. Alcuni pazienti gridarono, altri si ritrassero raggomitolati negli angoli a piagnucolare, e presto scattò l'allarme ed accorsero gli inservienti della clinica. Ce ne vollero tre per bloccare O'Malley ed uno per iniettargli il sedativo.
Restai a terra ad osservare solo una parte del pavimento, prima di sentire le dita sottili ed il tocco freddo delle mani della dottoressa sul viso, intenta a voltarmi il capo per esaminare il mio stato ignorando le mie mani che si muovevano nel vano e debole tentativo di allontanarla.

- I'm... I'm fine...

- George? Stai fermo potresti avere un trauma cranico.

La voce era ferma asettica ed imperentoria, fredda come l'acciaio di un bisturi affilato. Mi concentrai sull'espressione del suo volto, ferma e rigida con occhi fissi ed appena sottili verso i mei, mentre controllava i riflessi pupillari con l'ausilio di una torcia.

- Avresti potuto quantomeno difenderti, George.

Sibilò con apparente nervosismo.

- No, non potevo.

Le mani della dottoressa smisero di controllare lo stato delle tumefazione ed uno sguardo serio ed interrogativo apparve sul suo volto mentre le vidi irrigidire la mascella. Il quel momento credetti pensasse ad un mio tentativo di suicidio.

-Why not?

- I swear by Apollo, the healer, Asclepiu, Hygieia, and Panacea, and I take to witness all the gods, all the goddesses, to keep according to my ability and my judgment, the following Oath and agreement:

Iniziai fissando lo sguardo nei suoi occhi con la stessa identica determinazione nello sguardo utilizzato dalla dottoressa.

- To consider dear to me, as my parents, him who taught me this art; to live in common with him and, if necessary, to share my goods with him; To look upon his children as my own brothers, to teach them this art; and that by my teaching, I will impart a knowledge of this art to my own sons, and to my teacher's sons, and to disciples bound by an indenture and oath according to the medical laws, and no others.

Un inserviente si avvicinò alla dottoressa chinata vicino a me chiedendo cosa stessi blaterando, se fossi completamente ammattito, per poi fermarsi quando Lelaine alzò il palmo della mano con fare imperentorio interrompendo quelle domande ora inutili e fastidiose.

I will prescribe regimens for the good of my patients according to my ability and my judgment and never do harm to anyone. 

Quando marcai con forza quelle ultime parole, la dottoressa Blackwood cominciò ad osservarmi con occhi diversi e mentre continuai a pronunciare quelle parole, parole che ogni medico conosce a memoria da dopo la laurea, la stessa Lelaine seguì il mio esempio, cominciando a pronunciarle insieme a me.

- I will give no deadly medicine to any one if asked, nor suggest any such counsel; and similarly I will not give a woman a pessary to cause an abortion. But I will preserve the purity of my life and my arts. In every house where I come I will enter only for the good of my patients, keeping myself far from all intentional ill-doing and all seduction and especially from the pleasures of love with women or men, be they free or slaves. All that may come to my knowledge in the exercise of my profession or in daily commerce with men, which ought not to be spread abroad, I will keep secret and will never reveal. 

Non servirono altre parole per spiegare all'inserviente cosa stessi pronunciando, quando si rese conto infatti, lo sguardo divenne serio, concentrato sul mio, determinato e sulle parole che continuavano ad uscire dalle mie labbra.

- If I keep this oath faithfully, may I enjoy my life and practice my art, respected by all humanity and in all times; but if I swerve from it or violate it, may the reverse be my life. 
I could not defend myself, I could not attack him, because I'm a doctor!