lunedì 21 aprile 2014

I don't know what I should do.

Capital City - 2512

Passai un paio di giorni nell'infermeria della clinica, per esami ed accertamenti dopo il pestaggio subito. A quanto pare le ferite superficiali non erano gli unici danni subiti. Riscontrarono un lieve trauma cranico e non volevano sottovalutarlo. Gli antidolorifici aiutavano parecchio e per la maggiorparte della degenza vissi quell'esperienza come una benedizione. La mente era offuscata, dormivo per la maggiorparte del tempo ed il contatto con le persone era ben limitato al personale medico.
Quando uscii da quella stanza... fu come strappare un cerotto su una ferita ancora in via di guarigione, sensibile ed ancora dolorante.
La dottoressa Blackwood non attese molto prima di riprendere le nostre sessioni. Mi attese all'interno della stanza seduta sulla poltrona in un bell'abito azzurro e camice bianco. I soliti convenivoli e di nuovo prese a porre domande.

- Qual'è il ricordo più importante che hai della guerra?

- Della guerra?

- Esatto.

- La campagna di sensibilizzazione Unionista per la chiamata alle armi.

- La campagna? Parli dello slogan?

- Si...

- La maggior parte dei soldati rientrati riporta ricordi devastanti riguardo i compattimenti, la morte di qualche compagno, la caduta delle bombe, i fischi dei proiettili e le urla.

- Questo dovremme farmi sentire diverso?

- Lo siamo tutti a nostro modo.

- Ma ha appena detto che gli altri soldati riportano ricordi differenti riguardo le atrocità della guerra, sta intendendo che non sono un soldato? Che sono differente da loro?

- Stai rigirando la terapia. Sono io il medico in stan...

- Anche io sono un Medico!

Aveva uno sguardo determinato, e solido tanto quanto la sua postura. Quelle iridi chiare si erano fissate su di me, penetrando il mio sguardo che non voleva calare, perchè pareva un affronto o un confronto, e mi ritrovai a non poter mollare. Ma non era lo sguardo il problema quanto il silenzio. Il lungo silenzio che riempì la stanza come se la dottoressa avesse preferito testarmi silenziosamente per lasciarmi la libertà di sfogare la frustrazione ed il nervoso che mi dominava o forse semplicemente lasciare spazio alle mie emozioni per comprendere al meglio il caso.

- Non dice niente?

- Cosa preferiresti che ti dicessi, George?

- Qualunque cosa. Dica qualcosa, non stia li semplicemente in silenzio a far passare il tempo.

- Non hai combattuto.

- What?

- Non ti sei difeso, con O'Malley.

- I'm a Doctor!

- Lo so bene. Eppure non hai combattuto, ti sei lasciato sopraffarre senza il minimo di esitazione, ti sei lasciato colpire senza alzare un dito, perchè?

- Perchè sono un Medico!

- Continui a ripeterlo ma...

- Ho prestato un giuramento Dottoressa Blackwood. Un giuramento che ho intenzione di mantenere.

- Questo lo capisco, ma anche i medici se minacciati reagiscono per sopravvivere. Ma tu no, non ti sei difeso.

- Nel giuramento è scritto che non possiamo fare del male a nessuno.

- Quindi ti sei lasciato colpire solo per mantenere fede ad un giuramento.

- Esatto.

- Io credo che tu l'abbia fatto per aiutare O'Malley ad affrontare il suo problema. Tutti in passato lo hanno affrontato, tutti hanno tentato di salvarsi combattendo con lui, ma tu no. Tu sei rimasto immobile senza alzare un dito perchè sapevi che aveva bisogno di ritrovarsi ad affrontare se stesso.

Ci fu un altro lungo silenzio in cui la dottoressa non distolse lo sguardo neanche per un secondo, un lungo momento in cui aspettava una qualche mia reazione, sperava forse in una risposta o forse era lo stesso mio silenzio ad essere la risposta di cui necessitava. Lei si appuntò qualcosa sul pad quando distolsi lo sguardo sulla finestra.

- In quello scontro O'Malley non stava affrontando George Russell che si rifiutava di combattere, in quello scontro O'Malley stava affrontando se stesso che era incapace di reagire alla sua disfatta, perchè fino ad allora avava sempre affrontato un O'Malley rancoroso e desideroso di combattere. 

- Se lo dice lei...

- Stavi cercando di salvarlo?

- Non dovevamo parlare dello slogan?

- Come preferisci. Perchè lo slogan è il ricordo più importante che possiede della guerra?

- Perchè... Faceva delle promesse. Parlava di patriottismo, di proteggere la propria terra, la propria famiglia. "Uniti sotto la stessa bandiera non siamo una comunità, siamo una famiglia e non ci si può permettere di lasciar morire un familiare senza provare a difenderlo." Ero un idiota... non sapevo cosa realmente volesse dire. Pensavo di poter fare del bene, di poter fare la differenza, di cambiare le cose, la situazione, la vita di qualcuno. Credevo che scendere sul campo di battaglia mi avrebbe permesso di essere un...

- Un eroe?

- Qualcosa del genere.

- Eppure lo è stato. Ha ricevuto un encomio per il suo operato. Ha salvato molte vite a quanto mi risulta.

- Come ogni altro medico presente dottoressa.

- Quindi sperava di diventare superiore ai normali medici che l'affiancavano?

- Io...

- Eccome come stanno le cose, George. Anticià unendo le mani e sporgendosi in avanti per accorciare le distanze. Sei un ragazzo giovane che ha sempre desiderato di mettersi alla prova, di dimostrare alla propria famiglia ed ai bulli che l'hanno schernita in passato di essere superiore a loro di essere inarrivabile per la comune gente, ed ha compreso che chi meglio di un un medico può essere considerato al pari di un eroe?

- Lei...

- Ma noi medici non siamo degli eroi. Non siamo dei santi ne tantomeno delle divinità. Siamo esseri umani come tutti gli altri. Se ci tagliamo, sanguiniamo. Se ci sparano al cuore, moriamo. Se affrontiamo delle situazioni terribili ne rimaniamo shockati. Non siamo eroi, non siamo esseri invicibili, siamo persone comuni che hanno dedicato la loro vita alla scienza, alla conoscenza ed al curare le altre persone comuni. E questo, questo è un fatto con cui hai dovuto fare i conti in prima persona.

- ...

- Devi comprenderlo George. Tu non sei un eroe, le vite di tutte le persone che ti stanno attorno non dipendono da te e non puoi salvare qualcuno se prima non pensi a salvare te stesso. Per salvare qualcuno, devi restare in vita.


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